Fattorie di energia rinnovabile? Nasceranno sotto l Ortobene

In uno stabilimento che sta per sorgere (autorizzazione-miracolo ottenuta in 20 giorni dalla presentazione della domanda dopo la creazione - sponsor mamma Regione - del Suap, sportello unico attività produttive) verranno costruiti pannelli fotovoltaici, fatti di silicio mono o policristallino. E poi anche i pannelli che sfruttano l’energia che ci dà il sole. Il nome dell’azienda? «Tetto Solare», barbaricina al cento per cento, fatta da ingegneri e giovani diplomati al liceo aeronautico «Giampietro Chironi» di via Toscana a Nuoro. L’altro nome commerciale della società - per i più sofisticati - è Aecos che sta per Alternative Energy and Cogeneration Systems. Uffici in piazza Veneto, a pochi passi il campo Coni, a destra il nuraghe di Tanca Manna, di fronte la punta del Corrasi di Oliena, sulla sinistra i graniti dell’Ortobene. Il punto di forza? «La marcata valenza ambientale sfruttando la risorsa chiamata sole. E Nuoro è città di sole, così come lo è tutta la Sardegna», dice Giampiero Pittorra, 36 anni, ingegnere aeronautico, direttore generale di «Tetto solare». Si innova anche in uno stabilimento che ha più di trent’anni di vita. Era decollato con l’invenzione delle macchine per il pane carasau e i girarrosto elettrici da boutique, quelli in acciaio inox. Adesso, consolidata la tradizione, si va sulla linea luxory e si crea una macchina made in Sardinia per confezionare le capsule dorate e argentate per vini pregiati e spumanti, dagli italiani Ferrari e Gancia ai francesi Moët & Chandon, Veuve Clicquot, ai bianchi e ai rossi rivoluzionari del Cile e del Perù. Il progetto è by Molinas di Calangianus, re nuragico del sughero, una delle poche aziende sempre leader in Sardegna. A realizzare la macchina sforna-capsule è la «Camarda Costruzioni Meccaniche Srl» battezzata da un ex emigrato con quindici anni di gavetta a Torino in tandem con un gruppo di tecnici fatti in casa, scrupolosi al massimo tra calibri e macchine a controllo numerico. È qui che si dice che «La Sardegna, per crescere, deve essere precisa, deve abituarsi a rispettare i centesimi di millimetro». Sì, precisione da microchirurgia per fare un bisturi e anche per un tappo di sughero. Precisione certosina - prima del botto e del brindisi - anche per confezionare la capsula in polilaminato rullabile, composto da strati di alluminio e film plastico. Il tutto per proteggere e conservare i buoni vini del mondo, dal Nepente al Sauternes. Innovazione e tradizione. Mercato sardo, italiano e mondiale. Tutto avviene a Pratosardo, zona industrial-artigianale all’ingresso di Nuoro, lato superstrada arrivando da Ottana. Qui - nel comparto C - sono iniziati a tempo di record burocratico i lavori per costruire un capannone dove si lavorerà per le energie alternative. Con numeri di tutto rispetto. Dice Pittorra: «Abbiamo già realizzato duecento impianti circa, il 90 per cento domestici il restante 10 per cento per il risparmio energetico». Solo a Nuoro? «No, in tutta la Sardegna, da Sant’Antioco a Santa Teresa di Gallura». Buste paga: undici più sei collaboratori. Largo ai giovani, età media trent’anni. Con Pittorra un altro ingegnere, Giuliano Deledda, 37 anni, direttore tecnico. Giuseppe Romano, siciliano di Ficarra in provincia di Messina, altro ingegnere, responsabile della sicurezza. E poi due donne, Letizia Pittorra di 34 anni, direttrice dei servizi, diploma di ragioniera e Gianfranca Mannu, addetta al marketing, 33 anni, anche lei diplomata. Qualifiche certificate per i tecnici, molti sono usciti dal «Chironi». Sono «montatori» ma sanno quel che fanno e vi parlano di materiali riciclabili e di costi ridotti, di cultura della microgenerazione per i piccoli condomini e di efficienza energetica. Ve ne rende edotti una squadra affiatata e sorridente transumante per cantieri in Sardegna, tutti col diploma in tasca o un biennio di specializzazione, da Vittorio Tolu di 24 anni nuorese a Samuele Cheri, 27, di Oniferi. E con loro Daniele Lorrai, 24 anni, pure nuorese col collega Luca Fadda, 19 anni, matricola del gruppo. E ancora Manuel Pittorra di 28 anni e Laura Pisanu di 29. Tutto nasce per caso quando Giampiero Pittorra, primi anni duemila, decide di farsi il primo impianto fotovoltaico a Nuoro nella casa di via Emilio Lussu, a «Città Nuova». Il padre è scettico («tue ses macu»). Giampiero non molla. Ha le sue competenze. Laurea in Ingegneria aeronautica alla Sapienza di Roma, tesi su una «modifica strutturale a un MD80 di Meridiana», si rende conto che «in campo energetico occorre cambiar registro». Nel 2001 il suo collega Giuliano Deledda illustra una ricerca sull’utilizzazione dell’idrogeno come combustibile alternativo durante un importante congresso scientifico svoltosi a Reno, «la più piccola grande città del mondo», nel Nevada, Stati Uniti. Vengono pubblicati gli atti. «Da questo momento - spiega Deledda - concentriamo la nostra attenzione proprio sulle fonti alternative e rinnovabili. Anche in Italia cresce la consapevolezza che non si può vivere di solo petrolio, ci si rende conto che non si può rinunciare allo sfruttamento del sole e del vento. Nasce così il conto-energia. Nel 2005 decolla il primo impianto fotovoltaico in Sardegna collegato alla rete». C’è la possibilità di godere degli incentivi statali sull’energia prodotta. Ci si rende conto che i tempi di ritorno dell’investimento sono sostanzialmente ridotti. Ancora Deledda: «Lo Stato paga al proprietario dell’impianto una tariffa molto vantaggiosa per l’energia prodotta mediante la conversione fotovoltaica che gli permette di recuperare l’investimento tra i sette e gli otto anni. La tariffa è però solo una parte dei vantaggi, l’energia prodotta può essere o consumata subito o immessa in rete, è insomma una sorta di conto corrente energetico dal quale ciascuno può attingere sui risparmi elettrici». Aiuta lo Stato, ma non solo. Dice Pittorra. «In Sardegna gli ultimi incentivi regionali stanno contribuendo alla diffusione dell’energia fotovoltaica, per impianti pro-capite siamo ai primi posti in Italia. Si può migliorare ancora, per spendere i fondi stanziati si può erogare l’incentivo solo a energia prodotta e in tal modo si premierebbero i cittadini virtuosi. Il nostro progetto si inserisce in questo contesto, nella forte convinzione che il solare fotovoltaico tra un decennio potrà sostenersi senza gli incentivi statali e regionali diventando economicamente competitivi rispetto ad altre forme di energia». Quanto durano gli impianti? «Dai 25 ai 35 anni. Il fotovoltaico diventerà dotazione tecnologica standard per gli edifici, il cammino è tracciato, non si può tornare indietro». Benefici per i cittadini, benefici per le imprese. Si è parlato di burocrazia miracolosa. E in effetti le semplificazioni introdotte dalla Regione hanno permesso a «Tetto Solare» di partire «in soli venti giorni con la realizzazione della nuova sede di Pratosardo saltando tutti i passaggi autorizzativi necessari in passato». Ancora Pittorra: «La semplificazione burocratica è importante anche per la responsabilizzazione dell’imprenditore nei confronti della regolarità dell’opera da realizzare e al mutamento della pubblica amministrazione che da soggetto autorizzante diviene mero controllore dell’iniziativa considerata regolare a priori tramite le autocertificazioni». E in futuro? «Vorremmo essere noi a produrre i pannelli in silicio mono o policristallino o anche quelli amorfi, usati per i capannoni industriali». Altri sogni? La parola a Deledda: «Far nascere, sotto l’Ortobene, la Renewable Energy Farm, la fattoria dell’energia rinnovabile. Realizzare i pannelli solari termici». E poi? «Vorremmo concederci un piccolo vezzo intellettuale: ricerca sulle fonti alternative energetiche e in particolare per quella relativa all’idrogeno». Impossibile? «No, si può». E le cifre fino ad oggi? «Duecento impianti realizzati, il 60 per cento è già in esercizio, un totale di 800 chilowatt installati, 1800 Gwh prodotti, ma soprattutto 985.925 chili di anidride carbonica non emessa, 345 mila di energia elettrica risparmiata e 726 mila euro di incentivi in conto energia ricevuti». I moduli? Installati sui tetti, senza impatto ambientale. Il costo medio di un impianto? Quattromila euro. E case con pavimenti riscaldati, e acqua calda gratis. Grazie al Dio Sole. Dal Dio Sole al Dio Bacco passando per la Meccanica di precisione. Basta spostarsi di un centinaio di metri, sempre nella zona di Pratosardo, e arrivare alle officine Camarda. Le ha create, vent’anni fa, un ex nuorese diventato tornitore a Torino, quindici anni di emigrazione fra Piemonte e Germania, oltretirreno ha lavorato per cantieri navali, per costruire piattaforme petrolifere e robot per fare macchine, una vita fra torni, frese e alesatrici. E oggi tra computer e metalli. Rientra da Torino e apre bottega a Nuoro, via Biasi. «Ci stavo stretto, se lavori un un garage hai la mentalità ristretta da garage, non puoi pensare di crescere, di espanderti. A Pratosardo sono arrivato nel 1995, dispongo di 1330 metri quadrati, posso ampliare, acquistare macchine moderne, far lavorare gli operai in un ambiente ben aerato». Lavori di tutti i tipi: carrelli porta blocchi per pietre, distributori per l’acqua, impianti di depurazione e potabilizzazione. Anche qui la squadra è doc. Tecnici fatti in casa, specializzati in azienda, i seniores Salvatore Piquereddu, 61 anni, di Nuoro, e Marco Pittalis, 52 anni, di Oniferi. E ancora i trentenni Eliseo Enne di Bolotana, Alessandro Becciu di Orani, Marco Sedda di Nuoro. Una squadra che continua a sfornare le macchine per le sfoglie del pane carasau, per fare la pasta in casa, i girarrosto, le sfogliatrici da banco, carrelli e taglierine, impastatrici e barbecue, ganciaie e guidovie. Con creazioni originali e «di servizio». A Jerzu, nel cimitero, è stata realizzata una pensilina di 92 metri col tetto in policarbonato compatto. Per la cantina di Oliena stanno partendo gli sportelli in acciaio inox per le vasche del Nepente. E anche una novità per i patiti dell’arrosto: una graticola rettangolare regolabile, con una rotellina a spirale per stringere bistecche o pesci, o un intero porcetto. Brevetto? Camarda, off course. Per finire in allegria, per brindare col pérlage in un flûte da champagne o da prosecco, ecco il nuovo lavoro Camarda in tandem con la Mondialcapsule dei fratelli Molinas (quelli del sughero di Calangianus). Sono stati i Molinas a scegliere Camarda, ne avevano seguito altre realizzazioni. Nei giorni scorsi hanno firmato il contratto per fargli costruire un ingranaggio in grado di sfornare i fogli in rulli di polilaminato che poi serviranno - inserito il tappo - per chiudere e sigillare le bottiglie. È integrazione perfetta di risorse locali, mutuo soccorso industriale, quanto ne sarebbe andato orgoglioso Bastianino Brusco, l’economista per alcuni anni presidente del Banco di Sardegna, conoscitore profondo delle piccole aziende. Due eccellenze sarde insieme. Ora la joint-venture Molinas con l’ex emigrato Camarda. Danno «servizi» a Moët & Chandon e Ferrari, ad Argiolas di Serdiana e alla Confraternita del Nepente di Oliena. Prosit.



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